"Il Bacio"

Lo desideravo sin dal momento in cui vidi la foto de “Il bacio” ritratta in tantissimi manifesti qui a Roma. Spesso mi ritrovai incantata ad osservare la foto gigantesca che promuoveva la mostra, e mi dissi che non avrei potuto non andarla a vedere dal vivo per sentire l'emozione sconosciuta che mi avrebbe regalato.

 

Oggi 23 Maggio, 2 giorni prima della sua chiusura, decido di andare a prendermi quell'emozione e così seduta in una delle panche di un essenziale legno di pino poste al centro delle 3 sale scrivo:

 

 

“Sono alla Mostra di Auguste Rodin, seduta in una delle grandi panche di legno messe nelle sale della mostra.

L'opera “Il bacio” è il motivo per cui sono qui. Quest'opera si chiama anche “La fede”, “L’amore profondo come i sepolcri” o “Paolo e Francesca” ed è del 1882 circa.

 

Comincio a girarle attorno ed a scrutarne ogni dettaglio. Inizio a scattare qualche foto, ma mi rendo conto che è più bello poterla vedere ascoltando “I lie” di D. Lang e quindi smetto di fotografare mi infilo le cuffiette e mi abbandono alle emozioni.

 

I loro corpi sono quasi avvolti uno intorno all'altro, e la "carne sembra marmo". Lo sguardo è spinto ad indugiare nei visi ed esattamente là dove si incontrano le labbra, ma la vista di quel contatto non è facile, il braccio di “Francesca” lo copre e ti lascia immaginare, rendendo quel momento ancora più sensuale ed erotico allo stesso tempo. Lui, Paolo, avvolge in modo forte ma allo stesso tempo delicato il corpo di Francesca, lasciando intuire nel suo essere maschile una delicatezza anche femminile. E' una meraviglia nei miei occhi, la posso respirare ma vorrei toccarla per sentire cosa mi trasmette, ma non si può, e così mi lascio trapassare dalla sua luce.

 

Appena ripresa da questa sorta di estasi mi guardo attorno e vedo tantissime altre opere di un candore quasi irreale e capisco che le emozioni non sono ancora finite.

 

Inizio ad osservarle, una per una lentamente.

 

Ammetto che ci ho messo un attimo ad entrare in empatia. Il marmo bianco lasciato spesso per lo più grezzo fa emergere i corpi ed i visi quasi come se nascessero a fatica da esso, quasi come se volessero rimanere un po' celati, lasciando allo sguardo dell'osservatore la fantasia di immaginare tutto il resto, fantasia alla quale siamo poco abituati, e questo subito mi crea come una sorta di sottile struggimento, che capisco essere legato a quel non capire dove sia il confine tra il corpo e la materia e sento come un desiderio di completezza. E' la mia mente che lo vuole, è la mia mente che vorrebbe vedere tutto, capire tutto, avere chiarezza della forma e dell'insieme insomma. Invece no, Rodin, non ti da la chiarezza, la puoi solo immaginare. Ed è proprio in questo che sta il suo fascino, è proprio qui che la realtà visibile affonda le sue radici nell'immaginario possibile altro, che resta comunque un mistero, e che lascia a chi lo guarda il bisogno insoddisfatto di completezza. Ti chiede di amare quell'opera per ciò che è, così com'è, nella sua imperscrutabile enigmaticità.

 

Questa emozione mi ha fatto quasi da specchio.

 

L'arte di Rodin mi sta dicendo che la scoperta del proprio stile personale, della propria dimensione umana sta nel mistero del non completamente svelato, del non detto fino infondo. La nostra essenza rimane celata e solo un occhio attento e sensibile può vedere al di là di ciò che vogliano di noi mostrare.

 

Poi osservo alcune opere: i corpi morbidamente abbracciati, o tesi in uno slancio al tempo stesso erotico e sensuale sono a volte molto più piccoli del marmo lasciato grezzo.

 

Anche questo aspetto mi suscita una metafora esistenziale: nell'abbondanza del niente, o dell'inutile che ci circonda, il bello e l'incanto sono un dettaglio, una gemma incastonata, sta a noi scoprirli.”

 

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Commenti: 2
  • #1

    Francesca Bisson (sabato, 24 maggio 2014 12:50)

    meraviglioso Viviana. Grazie per l'emozione trasmessa.

  • #2

    vivianabiadenecounseling (lunedì, 26 maggio 2014 14:49)

    Grazie a te mia cara per avermi letto! Un abbraccio